Si chiama metagenomica l’approccio scientifico basato sull’uso di tecniche genomiche moderne per lo studio di comunità microbiotiche. Queste non vengono prelevate e coltivate in laboratorio ma, al contrario, vengono studiate direttamente nel loro ambiente naturale. Ad oggi è usata soprattutto negli ambienti acquatici e terricoli, ma non si esclude che in futuro si potrà applicare anche all’atmosfera.
La metagenomica è nata grazie a Carl Woese e Norman Pace nel 1981 e si è fin da subito rivolta a tutti gli organismi di difficile coltivazione, per diverse cause. Il termine “metagenomica” è stato usato per la prima volta, però, quasi vent’anni dopo da Jo Handlesman, Jon Clardy, Robert M. Goodman e Sean F. Brady in una pubblicazione specifica. “Metagenoma” si riferisce al concetto di una collezione di geni sequenziati dall’ambiente, che può essere studiata allo stesso modo in cui è studiato un singolo genoma.
Metagenomica: come funziona
Tecnicamente, si definisce “metagenomica” lo studio di sequenze di almeno cento milioni di coppie di basi di DNA a partire da un campione ambientale. Questa analisi è molto utile nel caso di organismi difficili o impossibili da coltivare in laboratorio: ad oggi, le aspettative in merito all’applicazione di questo approccio sono molto alte. Grazie alla metagenomica, infatti, sono state scoperte novità molto interessanti in merito alle comunità inquinanti dell’ambiente, nonché novità sul ruolo del microbiota umano.
Innanzitutto, la prima fase è il pre-sequenziamento. Qui, si deve valutare la complessità della comunità microbica da studiare: si definiscono gli obiettivi in merito anche agli strumenti che si hanno. Successivamente, si passa al campionamento: qui si deve preservare la qualità del DNA raccolto. Il terzo step è quello del sequenziamento, quando effettivamente si producono le sequenze di DNA. Ci sono diverse metodiche con cui si può eseguire questo terzo livello: si può scegliere la metodica di Sanger o, secondo le ultime novità, la tecnica di next generation sequencing, dai costi meno elevati.
Dal sequenziamento si ottengono le reads, i prodotti del lavoro. Queste vengono poi riassemblate come in un puzzle: dalla loro unione, si ottengono catene lunghe dette conting, a loro volta riunite in sequenze ancora più grandi, le scaffold. L’obiettivo finale è quello di unire tutte le scaffold fino ad avere un assembly, che altro non è se non un genoma completo. L’ultimo step è quello dell’annotazione: si cerca di capire l’esatta funzione di ogni sequenza assemblata.
Metagenomica: ambienti e obiettivi
La metagenomica viene usata in diversi ambiti della scienza. Innanzitutto, si adopera negli ambienti acquatici: questi rappresentano un complesso insieme di comunità microbiche. Queste, grazie alla metagenomica, possono essere studiate senza la necessità di dover coltivare ogni singola specie in laboratorio. Un esito di questa tecnica negli ambienti acquatici è la scoperta che l’ampio uso di antibiotici ha portato alla nascita di batteri resistenti agli stessi antibiotici.
Un altro settore in cui viene usata la metagenomica è lo studio del microbiota umano. Un ostacolo alla tradizionale coltura in vitro è la complessa struttura organizzativa delle comunità microbiche, così come la grande mole di dati da gestire. Con la metagenomica, si è scoperta la centralità del microbioma nella salute dell’uomo e, soprattutto, nella sua interazione con i farmaci.